
CoVid-19, la patologia sostenuta dal nuovo coronavirus SarS-CoV-2 che ha generato la pandemia ancora in corso oramai da quasi due anni, spesso in coloro che hanno manifestato una polmonite interstiziale quale espressione di una forma grave di malattia, può residuare reliquati nel breve, nel medio o nel più lungo termine come una fibrosi polmonare definita come “Post-Covid Pulmonary Fibrosis” (PCPF).
In un terzo circa dei pazienti CoViD che sviluppano una sindrome da distress respiratorio (ARDS), si ha, infatti, un’eccessiva produzione di tessuto connettivo a livello dell’interstizio polmonare con conseguenti alterazioni clinico-funzionali di diversa gravità spesso in rapporto al grado di estensione ed alla persistenza nel tempo delle alterazioni fibrotiche, alcune volte reversibili.
Razionale
Per ridurre il rischio di sviluppare la PCPF sarebbe opportuno individuare precocemente i pazienti con sintomi respiratori più gravi così da intervenire tempestivamente con le terapie farmacologiche più efficaci per evitare un peggioramento delle condizioni cliniche e lo sviluppo della fibrosi. Ma per coloro che presentano esiti fibrotici consolidati a livello polmonare è necessario un attento monitoraggio interdisciplinare e l’istituzione di procedure standardizzate di follow-up.
L’obiettivo del tavolo di lavoro è quello di definire un percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale e riabilitativo da proporre come un modello di riferimento per una gestione ottimale di questi pazienti in funzione di protocolli basati sulle più recenti acquisizioni scientifiche e strategie sempre e comunque mirate sulle necessità di ogni singolo paziente.